rassegna stampa

RASSEGNA STAMPA

IL MARATONETA DEL PIANOFORTE

di Enrico Parola
Corriere della Sera
23 dicembre 2013

Conservatorio. Il musicista Emilio Aversano celebre per i suoi concerti che durano quattro ore. “Quando suono mi ispiro al mito di Filippide e alla cultura classica”. Il pubblico “Chi viene ad ascoltarmi sa cosa troverà e quanto starà seduto”.

Ci sono pianisti specializzati in Bach o Chopin, amanti del virtuosismo o cultori del tocco. Emilio Aversano ama a tal punto un genere da averlo inventato e averci completamente dedicato gli ultimi dodici anni di carriera: la maratona. Musicale, s’intende. A differenza dei colleghi che quando suonano con orchestra eseguono un concerto e un paio di bis, lui sale sul palco e se ne va dopo quattro ore e quattro concerti: stasera, accompagnato da Robert Gutter e la Filarmonica di Bacau, suonerà il “K488” di Mozart, la “Wanderer-Fantasie” di Schubert nella trascrizione con orchestra di Liszt, il “Concerto” di Schumann e il “Primo” di Ciaikovskij. Mostruoso, o per dirla con sue parole, mitico ed epico. “Sono nato a Salerno e ho studiato al liceo classico. I miei mi portavano spesso a Paestum, dove c’è il più bel tempio dorico al mondo”, ricorda Aversano, 47 anni compiuti il 3 dicembre. “Sono cresciuto imbevendomi della cultura classica e del culto delle bellezza classica; adoravo l’epica e il mito, e fin da piccolo ammiravo Filippide e la sua folle corsa da Maratona ad Atene, morendo ma portando a compimento la sua missione. La classicità insegna l’estetica e l’etica, concependole come indivisibili. E così ho iniziato a concepire il mio essere musicista”. Da qui la decisione di divenire il Filippide del pianoforte anche se Aversano preferirebbe evitare la definizione di “maratoneta della classica” perché richiama a una prestazione atletica, come se suonare quattro concerti fosse solo una questione di energia e tenuta fisica. Invece no, e non è nemmeno uno sforzo mnemonico: se invece di pensare alla propria prestazione si ammira la bellezza della musica vien tutto naturale e leggero. È facile ricordare le note, si arriva al Finale di Ciaikovskij freschi, senza che le dita siano stanche”. Vale anche per il pubblico? “Chi viene ai miei concerti sa che cosa troverà e quanto starà seduto. Magari si può trovare spiazzato chi pensa di applaudire un acrobata, un mitragliatore di note e si trova davanti me, che punto tutto sull’approfondimento del senso, sulla riflessione e non sulla spettacolarizzazione. Così l’Adagio di Mozart è un ponte verso il romanticismo, e suona incredibilmente affine al Lento della Wanderer, che trasponendo il lied del viandante è l’emblema del romanticismo, i cui tormenti vibrano in Schumann e il cui spirito eroico è glorificato da Ciaikovskij con un solista che deve fronteggiare un’orchestra smisurata”.